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Published : 18/03/2021 08:05:58
Categories : Letture
Esiste nel mondo un certo numero di libri (mai più di quattordici, mai meno di sette) la cui natura è tale da rendere prescindibile ogni altra lettura. Ogni esemplare – dalla redazione semplice, lunghezza regolare e formato comune – è un’edizione unica, sebbene simuli di far parte di una grande tiratura. Gli autori e il contenuto variano a seconda degli individui, intendendo con “individuo” un “potenziale lettore di libri sacri”: io ho una lista, voi un’altra, ed entrambe devono essere lette nell’ordine giusto… solo che il compito di metterle in ordine tocca a noi. Generalmente, la prima cosa che troviamo è un volume che occupa un posto intermedio. Il suo testo ha due significati: uno letterale e uno simbolico, che risulterà oscuro e che non si chiarirà se non leggeremo il volume che lo precede, a sua volta fondato su un altro. Come fare? Qui entrano in gioco mani divine o diaboliche: ogni volume allude, nel corso del suo sviluppo, all’immediato antecedente e al volume successivo. Poiché a volte l’allusione è una semplice parola, un segno, un numero, quanto resta del testo è materiale in eccesso e non aggiunge né toglie nulla alla nostra comprensione, giustificando solo l’impiego della parola, del segno o del numero che serve da legame tra un volume e l’altro. Può anche succedere che l’allusione si realizzi in forma di citazioni o che il volume numero quattro sia un saggio sul volume numero tre. Allora, forse il volume numero cinque potrebbe essere una confutazione di entrambi, ed è possibile che nel corso della lettura uno strano riferimento ci rimandi al volume numero sei, che non è stato ancora scritto. Questa frattura nella continuità della serie si traduce in un ordine: «Lo scriva lei stesso». Il compito è impegnativo, soprattutto se ci tocca l’ultimo della serie (cosa che ignoreremo finché non avremo messo il punto finale): so di presunti demiurghi che sono morti o misteriosamente scomparsi, che hanno sceso numerosi gradini sulla scala zoologica o sono impazziti una volta esaurita la loro porzione di volumi. Altri, invece, subiscono un lievissimo deterioramento, una mutazione, diciamo, nel colore degli occhi, nella quantità di dita in una mano, nel modo di tenere coltello e forchetta. Maledico e temo le possibili conseguenze, ma riesco a vederci un prezzo da pagare ragionevole per chi, come me, desidera catturare, scrivendo, un briciolo di senso in questo labirinto di effetti e cause.
Fortunatamente, le stelle mi sono state propizie: i due volumi che ho a portata di mano sono, effettivamente, il primo e il secondo della mia lista. Uno dei due, Compendio di storia universale, finge di essere un libro di testo. L’altro, Sonetti angelici, è firmato da un certo Aniceto Pedrish. Non si tratta del Pedrish delle antologie moderniste, né lo stesso Sonetti angelici è il libro tanto famoso: il presunto Pedrish e i Sonetti apocrifi che un velo delatore, impercettibile a occhi profani, mi ha fatto scoprire sugli scaffali di una libreria dell’usato. Una nota a piè di pagina nella prefazione menzionava, in modo alquanto grottesco, il Compendio di storia universale. Tale menzione non compare nelle edizioni attuali, cosa che mi ha permesso di fare il collegamento. Ora occupo la maggior parte del mio tempo a decifrare quel Compendio dall’apparenza inoffensiva, in cerca del capoverso, della riga o della parola che possa racchiudere un riferimento al prossimo volume. Vivo in un quartiere di anime affini, una specie di fratellanza. Per attenuare lo spleen, i miei colleghi discutono, all’ombra di tende rigate, dettagli e trame dei rispettivi libri. (Ogni tanto, qualcuno parte per un lungo viaggio). Io preferisco il silenzio del mio lavoro, un brancolare nel buio che illuminerà o fulminerà, nel momento postumo, i miei occhi ciechi.
Traduzione di Giulia Zavagna.