Il giardino dei mostri magnetofonici, Alberto Laiseca

Published : 09/03/2020 19:38:43
Categories : Letture

uccidendo nani

In realtà, Dioniso Kaltenbrunner fu il primo a intraprendere seri studi sulle piante magnetofoniche. In un reparto del campo di concentramento che diresse per un breve lasso di tempo (nove mesi: la durata di una gravidanza) fece allestire un piccolo giardino botanico e diede ordine che gli interrogatori, così come la vivisezione delle prigioniere o gli esperimenti scientifici più esuberanti, avessero luogo lì affinché le piante potessero sentire ogni cosa. Le sessioni furono registrate e venivano poi fatte riascoltare giorno e notte alle suddette piante; Dioniso Kaltenbrunner riteneva che in quel modo sarebbe successo quello che succede di solito alle galline, le quali, con l’aiuto della musica classica, depongono un numero maggiore di ovetti.

Per la legge dell’equivalenza energetica tra sistemi magici distinti e comunicanti, i rappresentanti del regno vegetale finirono per diventare anche loro magnetofonici: era come se avessero al loro interno dei nastri registrati.

Parallelamente, per far scorrere la linfa più rapidamente e assicurarsi così una registrazione ad alta velocità, le piante furono nutrite con alimenti speciali; se aumenta il numero di giri del nastro per unità di tempo, infatti otteniamo una voce più precisa; allo stesso modo, se si incrementa nella linfa il numero di segnali corrispondenti ai suoni – aggiungendo sempre nuovi valori* –, la precisione dell’incisione aumenta in modo esponenziale, così come vuole la teoria degli errori di Gauss.

Le piantine, diventate palesemente magnetofoniche, ripetevano in un coro di gradevolissimi gridolini tutto quello che avevano imparato. Inutile dire che diventavano ogni giorno più alte e grasse, con frutti succosi, enormi e magnifici; perfino quelle che in genere, per natura, non ne facevano. Come gli olmi, per esempio, che fino ad allora erano sempre stati infruttiferi.

Solo in un’occasione ebbi la possibilità di vedere lo stimatissimo giardino del Tecnocraticontrollore delle IEE Dioniso Kaltenbrunner, quel grande benefattore. Lo avevo pregato e strapregato, fino allo sfinimento di entrambi, lo ammetto: «Ma mio Tecnocraticontrollore…». «Io sarei così felice se lei…». Alla fine acconsentì, anche se non nel modo che avevo immaginato.

Fuori di sé per la mia insistenza, estrasse dalla sua uniforme un’enorme tenaglia. Impallidii. Mi fu subito chiaro che si apprestava a strapparmi i miei sconci testicolini. Non riuscii a trattenere la mano, che si abbassò come per difendere la zona a rischio. L’inconscio a volte è stupido e ci tradisce.

Invece per fortuna mi sbagliavo, perché non aveva nessuna intenzione di fare quello che avevo immaginato. Ciononostante, quando vide il mio gesto automatico, accennò un lieve sorriso ed ebbe un attimo di esitazione. Per la mia gioia decise di non lasciarsi condizionare e rimase fedele alla sua prima idea: stringere ferocemente e tenacemente con la tenaglia una delle mie orecchie.

Così, in una posizione un tantino scomoda, mi portò – senza badare né alle mie urla, né tantomeno al mio continuo incespicare – a fare un rapido giro per il giardino. Di tanto in tanto mi costringeva a fermarmi davanti a una delle sue piante preferite, senza per questo allentare la presa, e farfugliava: «La vede?» o altrimenti: «Le piace? Le piace?» e poi, sempre con la tenaglia attaccata al mio orecchio, mi trascinava fino alla successiva accompagnando la passeggiata con un contorno di testate e di schiaffoni e manrovesci assestati con la mano libera; in alternativa, ogni tanto ricevevo l’omaggio di una frustata con il filo spinato intrecciato con rami di ortica che era solito portare appeso alla cintura. Ogni colpo era accompagnato da parole pronunciate ad alta voce, la cui assurdità mi commuoveva più delle frustate: «Salamelecchi! Titillamenti! Raggiri! Smancerie! Lazzi e moine!».

Non so come abbia fatto a salvarmi. Ero convinto che avrebbe trasformato anche me in un magnetofono.

Nonostante il malessere dovuto a quella situazione, ricordo ancora oggi quello che vidi. C’erano piante altissime, veri e propri alberi. E ce ne erano altre minuscole. E avevano tutte qualcosa in comune: non che avessero mai divorato qualcosa o qualcuno, almeno a quanto mi risulta; ma davano l’impressione di poterlo fare. Alcuni boccioli, notai, avevano due file di minuscoli dentini.

Alcuni fiori si esprimevano attraverso enormi volumi rossi. Altri diffondevano gialli risplendenti, in mezzo a verdi cristallini e foglie sottili come aghi. Non mancavano quelli tutti grigi, monocordi, sostenuti e continui, privi di qualsivoglia sembianza terrestre; quasi fossero piante marziane o provenienti dalle selve venusiane.

Vidi una pianta simile al mais, con pannocchie marroni, trilobate, che svettavano tra spettrali foglie di velluto azzurro.

Tutte emanavano aromi intensi, come di essenze concentrate. Non avevo mai sentito niente di simile, ma, cosa strana, avevano un che di familiare.

Mi sarebbe piaciuto molto scattare delle istantanee, ma non mi fu possibile. «Faccia delle foto; le faccia, le faccia» mi incitava il Tecnocraticontrollore tenendomi sempre per l’orecchio, che ormai, per colore, odore, sapore e volume, era diventato una specie di salame. «Faccia delle foto». Non le feci per paura che con quello sballottamento le immagini venissero mosse. Che dire. Fu un peccato.

Ormai fuori dalla serra, con aria condiscendente, il comandante mi chiese: «Desidera altro?». «Sì, andarmene». Per fortuna quel giorno era di umore eccellente e acconsentì con indulgenza alla mia richiesta. Mi restituì perfino l’orecchio.

Adesso lo tengo sul mio tavolo, come fermacarte; come fece Stalin con il cranio di Hitler. Temo che un giorno, in preda all’ansia, lo confonderò con un orecchio di Giuda e me lo mangerò.

Lamentevole, l’indigestione. Molto lamentevole.

 

*Nota dell’“autore”: «Il bombardamento di Dresda: ogni bomba è un’ulteriore misurazione e la somma di tutte le bombe ci permette di identificare con esattezza il tessuto sottile della terzultima sostanza – la penultima corrisponde all’apertura del settimo sigillo».

Traduzione di Loris tassi e Lorenza Di Lella

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